Trent’anni di politica con l’occhio alla tv

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Di Luigi La Spina, da La Stampa del 21 Giugno 2009

Ci sono libri a cui tocca una sorte curiosa. La loro fortuna editoriale viene favorita da un’attualità politica che li usa come comodi strumenti di polemica. Ma il successo mediatico rischia di oscurarne il valore culturale e, perfino, di equivocarne la tesi e di distorcere le intenzioni degli autori. E’ possibile, purtroppo, che questo possa essere il destino di un volume, edito da Einaudi, scritto da Franco Debenedetti e da Antonio Pilati, dal titolo allusivo e forse un po’ troppo criptico: La guerra dei trent’anni.

In realtà, il richiamo storico alla famosa guerra di potere secentesca, travestita da scontro religioso, costituisce solo un’intrigante suggestione per descrivere un’altrettanto lunga battaglia intorno a uno strumento di potere modernissimo: la televisione. Combattuta dal 1975 e terminata, secondo la tesi degli autori, nel 2008, con lo stesso esito di quella che devastò l’Europa del XVII secolo: lo sfinimento dei contendenti. Guerra, quella da poco finita, senza vincitori, perché superata da uno sviluppo della tecnologia che ha svuotato il motivo del contendere.

Appena uscito, il libro di Debenedetti e Pilati è stato discusso come si trattasse di una storia di quella «questione televisiva» che ha diviso gli italiani in due partiti: coloro che hanno attribuito il successo politico di Berlusconi all’influenza determinante della sua proprietà monopolistica, nel settore tv privato, e coloro, come i due autori del libro, che non condividono questa opinione. Gli argomenti con i quali Debenedetti e Pilati cercano di provare l’inconsistenza della tesi su cui si fonda quel primo partito possono convincere pienamente o lasciare qualche dubbio, ma l’interesse e la novità del loro libro non sta in questa diatriba. Quello che più stimola l’attenzione del lettore è il tentativo di scrivere una storia politica degli ultimi trent’anni, attraverso l’affermazione della tv privata nel costume e nella cultura popolare dell’Italia d’oggi.

Il singolare «taglio» del libro consente, così, di cogliere molti importanti fenomeni di trasformazione della nostra società. Tra gli altri, se ne può citare uno che ha determinato una clamorosa scissione tra la sinistra e la modernità. Con la conseguenza di sancire la fine dell’egemonia culturale di quella parte politica in Italia. Un’incomprensione che nasce da non aver intuito il rovesciamento copernicano avvenuto con la cosiddetta «discesa in campo» di Berlusconi. Come dicono efficacemente Debenedetti e Pilati, «la tv, da strumento a disposizione della politica, diventa essa stessa protagonista del discorso politico e della politica».Comincia da lì, il progressivo distacco della sinistra dagli interessi, dai valori, dai gusti della gran parte dei ceti popolari italiani. Il problema è che forse sarà anche finita, in Italia, «la guerra dei trent’anni» per la questione televisiva, come sostengono gli autori del libro, ma quel distacco non accenna a ricomporsi.



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