Sinistra in guerra per il piccolo schermo

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di Davide Giacalone, da Libero del 26 Giugno 2009

Fu una guerra di religione e di potere, con la religione usata quale strumento di potere e il potere come mezzo d’imposizione religiosa, che sconvolse l’Europa nella prima metà del XVII secolo. È un riferimento voluto e significativo, nel libro che Franco Debenedetti e Antonio Pilati dedicano a “Politica e televisione in Italia” e a cui hanno dato, appunto, come titolo La guerra dei trent’anni (1975-2008) (Einaudi, pp. 304, euro 19). Attorno al piccolo schermo si sono misurati, per tanti anni, i dogmi e il potere. Ma, attenzione, le pagine di Debenedetti vanno ben oltre la pur importante storia televisiva: arrivano al cuore di una questione politica aperta. Meritano la massima attenzione.

Non me ne voglia, pertanto, Pilati (che è conoscitore della materia come pochi, ma anche ex componente dell’Autorità che regola le Comunicazioni, e ora commissario presso l’Autorità Antitrust, quindi nella condizione ideale per essere trattato in sede accademica, non nella carne viva della vicenda politica), ma il mio interesse si concentra sugli argomenti di Debenedetti.

Cominciando da qui: il libro è il benvenuto ed è musica per le mie orecchie, perché, finalmente, si può leggere e scrivere di televisione senza dover avere a che fare con assatanati della scomunica, con tesi che non riescono a distinguersi dalle accuse penali, tutte cadute nel vuoto e sbugiardate. Finalmente, insomma, una ricostruzione pacata e civile, seria. Evviva.
Il decreto pro Agnes

I nostri lettori conoscono la storia, che pubblicammo nel libro Televisioni e politica, allegato a Libero. Le letture convergenti sono molte, a partire da una tappa fondamentale: il diffondersi dell’emittenza privata, il suo assumere carattere nazionale e, quindi, l’intervento oscurante e oscurantista dei pretori. Si era nel 1984 e il rimedio fu un decreto, emanato dal governo Craxi, la cui vita fu travagliata e venne infine convertito in legge nel febbraio del 1985. Nelle storie luogocomuniste quel decreto prende il nome di Silvio Berlusconi, intendendosi dire che lo favorì. Fin qui mi sentivo solo a scrivere che non è vero manco per niente, e che riaprire le televisioni era doveroso, mentre il reale favorito fu Biagio Agnes, che, grazie a quella legge, prendeva la guida plenipotenziaria della Rai. Debenedetti ricostruisce bene quei fatti e documenta le «ampie concessioni in Rai a favore della Dc e del Pci, che avrà la direzione del Tg3».

Parte bene, Debenedetti, e prosegue meglio, perché descrive il peso e il ruolo del “partito Rai”, che fu decisivo nell’indirizzare la storia. Certo, era al lavoro anche il “partito Fininvest”, così volendosi definire il frutto trasversale delle due attività lobbistiche, ma era la forza prevalente, che pretendeva la conservazione della Rai, con tutte le sue pratiche spartitore, a dettare il ritmo legislativo. Il “partito Fininvest” ebbe l’intelligenza di capire che quella potentissima lobby non doveva essere contrastata, ma assecondata, chiedendo, però, un trattamento analogo. Da qui discendono le tre reti a testa.

La follia del partito anti-Fininvest, che poi diventerà anti-Berlusconi, è sempre stata quella di cercare di trascinare indietro la storia, considerando inaccettabile quel che subito dopo si reclama come equilibrio da non compromettere: prima erano contrari a che un privato avesse una rete nazionale; quando ne ebbe due volevano che ne avesse una; quando ne ebbe tre volevano dargliene solo due. Se la legge Mammì, un autentico capolavoro di saggezza politica, non fosse stata approvata, li avremmo visti sbraitare nel chiedere che chi ha televisioni in chiaro non deve averne a pagamento, e non deve possedere giornali, e in particolare Repubblica, che Berlusconi aveva già conquistato. Si tratta, insomma, di gente costantemente in ritardo rispetto alla realtà. Che non è una colpa lieve.

Il merito, ulteriore, di Debenedetti è quello di non tirarsi indietro quando si presentano temi scabrosi, ancora potenzialmente tossici, specie se ci si trova a condividere, come lui, la battaglia della sinistra politica. Da dove origina la fortuna dell’emittenza berlusconiana? Il mondo luogocomunista s’arrampica subito fra la mafia e la massoneria di confessione gelliana. Il nostro autore preferisce la realtà: «L’origine del successo di Berlusconi non è per nulla misteriosa: libero da presunzioni culturali, capì come funzionavano i mercati (…), ebbe il coraggio di investire. Alcuni, Mondadori in particolare, erano titubanti anche in vista di iniziative legislative che si intravedevano: Berlusconi ebbe l’intelligenza politica di capire che, con il dominio che la Dc aveva sulla Rai, la televisione commerciale privata il suo spazio avrebbe dovuto conquistarselo, e non sperarlo dai governi di turno». E aggiunge due perfidie: Berlusconi aveva capito quel che c’era scritto in Razza padrona di Scalfari e Turani (meglio di chi l’aveva scritto?); ed era stato Enrico Cuccia a chiedergli di salvare la Mondadori. In qualche salotto la cristalleria tintinnerà, al tonfo delle due perfidie.
L’ascesa di Silvio

E sono quasi temerarie le pagine in cui esamina il ruolo delle tv nel favorire l’ascesa politica del fondatore: «È un’arbitraria estrapolazione pensare che quello che vale quando si tratta di acquistare beni e servizi valga anche quando si tratta di esprimere una preferenza politica». La tesi è: i voti non arrivano perché si hanno le televisioni, ma queste sono a loro volta specchio di una realtà sulla quale è stata modellata la proposta politica. E, com’è noto, nello specchio ci si riconosce. «Che il controllo delle televisioni possa condurre a un “regime” è (…) contraddetto dalla prova pratica», infatti Berlusconi ha vinto tre elezioni e ne ha perse due. Mica male, come cazzotto nello stomaco di certa sinistra.

Leggetelo, perché se continuo a citare quel che mi piace va a finire che copio l’intero libro. Conservo alcune righe per quel che Debenedetti sostiene in conclusione: mai come adesso ci sono le condizioni affinché le persone ragionevoli, i riformisti, che si trovano a destra e a sinistra, possano collaborare. Non so, francamente, se le condizioni siano davvero le migliori, ma so per certo che quella gente (noi) è destinata a soccombere, da una parte e dall’altra, se non trova la forza di rompere l’orrenda scena delle guerre di religione. Debenedetti ci ha messo del suo, e va ringraziato.

www.davidegiacalone.it



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