La guerra tv di Pilati e Debenedetti
di Marco Ferrante, Il Riformista del 13 Giugno 2009
La battuta d’arresto elettorale di Silvio Berlusconi conferma una vecchia idea sulla televisione praticata dalle persone ragionevoli: il peso politico della tv è meno decisivo di quanto generalmente si pensi. Il controllo dei mezzi d’informazione non è una garanzia di successo elettorale. Mai come oggi Berlusconi poteva contare su una forza televisiva e, in generale, su una simpatia dei media, ma non gli è servito a raggiungere l’obiettivo che si era prefissato, superare il 40 per cento dei consensi.
Un filtro personale – il filtro di ciasun individuo di fronte all’apparecchio – rende impossibile la formazione di una maggioranza televisiva, così come per molti anni hanno sostenuto – e spesso creduto – coloro i quali, senza sapere che cos’è davvero la televisione, avevano scelto il conflitto d’interessi come il principale strumento di lotta politica contro Berlusconi. E’ uscito in questi giorni un libro molto interessante su politica e televisione in Italia dal 1975 al 2008. Il titolo è la “Guerra dei trent’anni” (Einaudi, pag.303, euro 19,00), scritto a quattro mani da Franco Debenedetti e Antonio Pilati. Pilati, oggi commissario antitrust, di televisione si occupa da molti anni e qui racconta il lungo processo di liberalizzazione anomala del settore televisivo dalla mitica Telebiella del 1972 in poi. Debenedetti racconta una lunga storia politica della tv, il cui carattere quasi religioso, viene sottolineato da epigrafi di Kleist, Brecht, Schiller, tratte – sottolinea – da opere ambientate nella Germania luterana o in quella della guerra dei Trent’anni. Il libro di Debenedetti e Pilati arriva in una fase del dibatito pubblico in cui gli avversari del capo del governo dovranno fare una scelta definitiva sul modo di contraporsi al capo del Pdl. Era stato Walter Veltroni ad archiviare l’antiberlusconismo nella campagna elettorale dello scorso anno. Ma è riemerso nelle ultime settimane, prima con la campagna noemista, poi con la decisione di Dario Franceschini di adeguarvisi in una fase di emergenza, e infine con il successo elettorale di chi sull’antiberlusconismo ha costruito un processo identitario populista, cioè Antonio Di Pietro. Il punto da cui parte il lavoro di Debenedetti e Pilati è che esiste una questione televisiva in senso lato («riguarda l’influenza del mezzo sulla società») e una questione televisiva in senso stretto («riguarda essenzialmente la televisione commerciale privata e l’incrociarsi con la politica»). Solo da noi – scrivono Debenedetti e Pilati nell’introduzione – la questione televisiva in senso stretto «è rimasta in primo piano sulla scena politica per trent’anni».
La tesi del libro – impietosa nei riguardi dello strabismo sociologico e culturale di una gran parte della sinistra politica italiana degli utlimi trent’anni – è che la questione televisiva sta nella catena di eventi e interpretazioni che hanno portato il mondo che a Berlusconi si opponeva a non capirlo, a non coglierne le ragioni del successo. E’ un fenomeno che parte negli anni settanta. Non fu capita la tv commerciale, poi c’è stato il berlinguerismo, il patto dei produttori, poi è arrivato l’antiberlusconismo come superiorità antropologica, poi il ceto medio riflessivo (da Pancho Pardi a Paul Ginzborg) e il moralismo. E tutto questo è accaduto – è la tesi di Franco Debenedetti – in un quella metà del mondo educata alla superiorità della politica. La quale, alla fine, si scopre meglio interpretata non dagli eredi del togliattismo (dei quali – inciso – fa parte anche l’uomo che non era mai stato comunista, Veltroni), ma dall’eroe brianzolo dell’antipolitica. Del resto, che l’antiberlusconismo di principio – e la questione televisiva – non abbiano funzionato politicamente lo dimostra un fatto empirico.
L’unico che ha battuto Berlusconi due volte è stato Romano Prodi. Incalzò il suo avversario con una immagine antitelevisiva, e governò dal 1996 al 1998 (quello che secondo Debenedetti fu il migliore periodo del centrosinistra) con una prassi del potere rigidissima, che cercò di replicare anche tra il 2006 e il 2008. Due volte sconfisse Berlusconi e due volte fu battuto dall’inconsistenza della sua alleanza politica.